Gli elementi che contribuiscono a connotare un’interpretazione pianistica sono diversi, anche se in genere strettamente correlati. Essi vanno dalla gestione degli elementi dinamici e agogici al rapporto tra articolazione e accentazione, dall’equilibrio tra le voci alla scelta del tocco.
Da ormai molti decenni ha acquistato un peso determinante nelle scelte interpretative anche l’elemento storico e filologico. La ricerca di una sintonia con la sensibilità estetica del compositore e dei suoi contemporanei svolge un ruolo sempre maggiore nelle scelte interpretative di molti pianisti moderni.
Sotto questo aspetto, si sono andati affermando via via sempre più saldamente i concetti di Urtext (testo originale) e di Urklang (suono originale). A questi si è aggiunto più recentemente il concetto di Urtechnik (tecnica pianistica originale).
Tutt’altro che confinato alla ricerca storica più specializzata, quest’ultimo ramo dell’indagine filologica può essere la vera chiave d’accesso ad un rapporto più autentico col testo originale di molta musica pianistica del XVIII e del XIX secolo. Nel suo ambito, l’attenta osservazione delle indicazioni originali di pedale ricopre un ruolo di primaria importanza, per la semplice ragione che il pedale di risonanza è il più potente mezzo di modificazione del suono che un pianista ha a disposizione.
Comprendere la mentalità con cui il compositore lo usava e lo indicava significa afferrare una gran parte della sua “idea” di come dovessero suonare sia lo strumento che le sue composizioni. Tuttavia, per molte ragioni, ma principalmente per la convinzione che le indicazioni di pedale siano sempre e comunque un tipo di segno approssimativo e incompleto, l’ipotesi di lavorare sul concetto di Urpedal viene proposta molto timidamente dagli studiosi, ed è generalmente trascurata dagli esecutori. E questo accade non solo quando i segni di pedale originale mancano o sono oggettivamente incompleti, ma anche di fronte a partiture in cui compositore si è chiaramente sforzato di indicare il pedale nel modo più esauriente possibile. È il caso della musica pianistica di Fryderyk Chopin.
Il pedale di Chopin (80 pagine, 65 esempi musicali, sei capitoli)è uno studio che parte invece proprio dall’ipotesi di prendere alla lettera i pedali indicati da Chopin. Il saggio vuole dimostrare che essi non hanno nulla di approssimativo o incompleto, ma sono l’espressione di una tecnica di pedalizzazione e di un’estetica pianistica precisa e compiuta. E che, sotto questo aspetto, possono rappresentare un solidissimo punto di partenza per una rilettura storicamente più appropriata dell’opera pianistica di Fryderyk Chopin.
Lo studio di Francesco Giammarco si apre ricostruendo la storia del pedale di risonanza fino a Chopin, e cercando di inquadrare le principali differenze tra l’uso moderno e la mentalità con cui esso veniva considerato dai pianisti della prima metà dell’Ottocento.
Dopo questa introduzione storica, il libro entra nel vivo dell’argomento, esaminando in quattro capitoli gli aspetti fondamentali del problema: il pedale in relazione al basso, il pedale in relazione all’articolazione, il problema del non-pedale, il problema del pedale sincopato.